Il corpo non si riscrive da solo.
Resta la ferita.
Resta tutto ciò che non si è potuto dire.
Parole mai dette. Emozioni corrette.
parole del corpo è lo spazio per nominare ciò che spesso non si può dire. Per ascoltare le storie, senza correggerle. Per lasciare che i corpi parlino, anche quando la voce è bassa. Anche quando nessuno ha mai chiesto loro di raccontare.
C’è un modo di raccontare i tumori ginecologici che conosciamo bene.
Lineare, rassicurante, sempre orientato alla rinascita. Corpi che combattono. Donne forti.
Poi il silenzio.
Ma il corpo non si riscrive da solo.
Resta la ferita. Resta la cicatrice.
Resta tutto quello che nessuno dice: la stanchezza, la perdita, lo strappo con sé stesse.
L’intimità che cambia. La pelle che non si riconosce.
C’è la necessità di cambiare questa narrazione. Per dare parola a ciò che è rimasto fuori:
le voci incerte, le immagini interrotte, la realtà di chi attraversa e convive con un prima e un dopo.
parole del corpo è lo spazio dove queste narrazioni si aprono.
Non per aggiustarle. Non per renderle più accettabili.
Ma per lasciarle accadere.
parole del corpo nasce per dire che aggiornare il racconto della malattia è un gesto culturale, politico, condiviso.
E che ha bisogno di nuove parole, nuovi occhi, nuove mani.
Ascoltare è un atto. Raccontare, un diritto.
Anche quando la voce è bassa.
Anche quando nessuno l’ha chiesta.